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che la prima regola del nostro mestiere è di non cercare dei fatti altrui: tanto che infino alle nostre donne, le non sono curiose. Si starebbe freschi, con tanta gente che va e viene: sempre un porto di mare: quando gli anni son discreti, voglio dire; ma stiamo pure allegri che tornerà un po’ di buon tempo. A noi basta che gli avventori siano galantuomini: chi siano poi o chi non siano, non fa niente. E ora vi porterò un piatto di polpette, che le simili non le avete mai mangiate.”
“Come volete sapere.....?” ripigliava Renzo; ma l’oste già avviato alla cucina, seguitò la sua strada. Quivi, mentre dava di mano al tegame delle polpette summentovate, gli si accostò chetamente quel bravaccio che aveva squadrato il nostro giovane, e gli disse sottovoce: “Chi sono quei galantuomini?”
“Buona gente qui del paese,” rispose l’oste, rovesciando le polpette nel piatto.
“Va bene; ma come si chiamano? chi sono?” insistette colui con voce aspretta.
“Uno si chiama Renzo,” rispose l’oste pur sottovoce: “un buon giovane, assestato; filatore di seta, che sa bene il suo mestiere. L’altro è un contadino che ha nome Tonio: buon camerata, allegro: peccato che