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di Renzo l’ira prevalse all’abbattimento. Quell’annunzio lo trovava già amareggiato ed accanito da una seguenza di sorprese dolorose, di tentativi falliti, di speranze deluse, e per sopra più inacerbito in quel momento dalle ripulse di Lucia.

“Vorrei sapere,” gridò egli, digrignando i denti ed alzando la voce quanto non aveva mai fatto dinanzi al padre Cristoforo, “vorrei sapere che ragioni ha dette quel cane, per sostenere.... Per sostenere che la mia sposa non debb’essere la mia sposa.”

“Povero Renzo!” rispose il frate, con un accento di pietà e con uno sguardo che comandava amorevolmente la pacatezza: “se il potente che vuol commettere l’ingiustizia fosse sempre obbligato a dire le sue ragioni, le cose non anderebbero come vanno.”

“Ha detto dunque, il cane, che non vuole, perchè non vuole?”

“Non ha detto nemmen questo, povero Renzo! Sarebbe ancora un vantaggio se, per commettere l’iniquità, dovessero confessarla apertamente.”

“Ma qualche cosa ha dovuto dire: che cosa ha detto quel tizzone d’inferno?”

“Le sue parole, io le ho intese, e non te le saprei ripetere. Le parole dell’iniquo che