Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
160 |
“Facile, a saperla fare,” replicò Agnese. “Ascoltatemi bene, che vedrò di farvela intendere. Io ho udito dire da gente che sa, e anzi ne ho veduto io un caso, che per fare un matrimonio, ci vuole bensì il curato, ma non è necessario che voglia; basta che ci sia.”
“Come sta questa faccenda?” domandò Renzo.
“Ascoltate e sentirete. Bisogna aver due testimonii ben lesti e ben d’accordo. Si va dal parroco: il punto sta di chiapparlo all’improvvista, che non abbia tempo di scappare. L’uomo dice: signor curato, questa è mia moglie; la donna dice: signor curato, questo è mio marito. Bisogna che il curato senta, che i testimoni sentano; e il matrimonio è bell’e fatto, sacrosanto come se l’avesse fatto il papa. Quando le parole son dette, il curato può strillare, strepitare, fare il diavolo; tutto è niente, siete marito e moglie.”
“Possibile!” sclamò Lucia.
“Come!” disse Agnese: “state a vedere che in trent’anni che sono stata al mondo prima di voi altri, io non avrò imparato niente. La cosa è tal quale io ve la dico: per segno tale che una mia amica che voleva torre uno contra la volontà dei parenti,