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insieme. Perciò non vi maravigliate se fra Cristoforo, col buon testimonio della sua coscienza, col sentimento fermissimo della giustizia della causa ch’egli veniva a sostenere, e un sentimento misto d’orrore e di compassione per don Rodrigo, stesse con una cert’aria di peritanza e di sommissione al cospetto di quello stesso don Rodrigo, che era lì seduto a scranna, in casa sua, nel suo regno, circondato di amici, d’omaggi, e degli indizii della sua potenza, con una cera da far morire in bocca a chi che sia una domanda, non che un consiglio, non che una correzione, non che un rimprovero. A destra di lui sedeva quel conte Attilio suo cugino, e se fa bisogno di dirlo, suo collega di libertinaggio e di soverchieria, il quale era venuto da Milano a villeggiare per alcuni giorni con lui. A sinistra, e ad un altro lato della tavola, stava con un gran rispetto, temperato però d’una certa quale sicurezza e d’una certa quale saccenteria, il signor podestà, quegli medesimo al quale, secondo le gride, sarebbe toccato di far giustizia a Renzo Tramaglino, e di applicare a don Rodrigo una di quelle tali pene. Di rincontro al podestà, in atto d’un rispetto il più puro, il più sviscerato, sedeva il nostro dottor Azzecca-garbugli, in cappa nera, e col naso