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“Gittate nel fango questo ribaldo,” disse il gentiluomo rivolto ai suoi.

“Vediamo!” disse Ludovico, dando addietro un passo subitamente, e mettendo mano alla spada.

“Temerario!” gridò quell’altro, sfoderando la sua: “io spezzerò questa, quando sarà macchiata del tuo vil sangue.”

Così si avventarono l’uno sull’altro; i servi delle due parti si lanciarono alla difesa dei loro padroni. Il combattimento era disuguale, e pel numero, e anche perchè Ludovico mirava piuttosto a scansare i colpi e a disarmare il nemico che ad ucciderlo; ma questi voleva la morte di lui ad ogni modo. Ludovico aveva già rilevata al braccio sinistro una pugnalata d’un bravo, e una scalfittura leggiera in una guancia, e il nemico principale gli piombava addosso per finirlo, quando Cristoforo, vedendo il suo padrone nell’estremo pericolo, andò col pugnale addosso al signore. Questi, rivolta tutta la sua ira contro di lui, lo passò colla spada. A quella vista, Ludovico, come uscito di sè, cacciò la sua nel ventre del provocatore, il quale cadde moribondo, quasi ad un punto col povero Cristoforo. Gli scherani del gentiluomo, vedutolo sul terreno, si diedero alla fuga malconci: quelli di Ludovico,