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due figure di basso rilievo ambulanti. Quando si trovarono muso a muso, il sopravvegnente, squadrando Ludovico a capo alto, col cipiglio imperioso, gli disse in un tuono corrispondente di voce: “ritiratevi a basso.”

“A basso voi,” rispose Ludovico. “La strada è mia.”

“Coi pari vostri la strada è sempre mia.”

“Sì, se l’arroganza dei pari vostri fosse legge pei pari miei.”

I due accompagnamenti erano rimasti fermi, ciascuno dietro il suo capo, guardandosi in cagnesco colle mani alle daghe, preparati alla battaglia. La gente che giungeva nella via, si ritraeva, ponendosi in distanza ad osservare il fatto; e la presenza di quegli spettatori animava sempre più il puntiglio dei contendenti.

“A basso, vile meccanico; o ch’io t’insegno una volta le creanze che son dovute ai gentiluomini.”

“Voi mentite ch’io sia vile.”

“Tu menti ch’io abbia mentito.” Questa risposta era di prammatica. “E se tu fossi cavaliere, come son io,” aggiunse quel signore, “ti vorrei far vedere con la spada e con la cappa che tu sei il mentitore.”

“È un buon pretesto per dispensarvi dal sostenere coi fatti l’insolenza delle vostre parole.”