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approvare. Doveva tenersi intorno un buon numero di bravacci; e tanto per la sua sicurezza, quanto per averne un aiuto più vigoroso, doveva scegliere i più arrischiati, cioè i più ribaldi, e vivere coi birboni, per amore della giustizia. Tanto che più d’una volta o scoraggiato dopo una trista riuscita, o inquieto per un pericolo imminente, annoiato del guardarsi continuo, stomacato della sua compagnia, in pensiero dell’avvenire per le sue sostanze che disgocciolavano di giorno in giorno in opere buone e in braverie, più d’una volta gli era venuta la fantasia di farsi frate; che a quei tempi era la via più comune per uscire d’impacci. Ma questa, che sarebbe forse stata una fantasia per tutta la sua vita, divenne una risoluzione, per un accidente, il più serio e il più terribile che gli fosse ancora incontrato.
Andava egli un giorno per una via della sua città, accompagnato da un antico fattore di bottega, che suo padre aveva trasmutato in maggiordomo, e con due bravi alla coda. Il maggiordomo, di nome Cristoforo, era un uomo di circa cinquant’anni, devoto dalla gioventù al padrone che aveva veduto nascere, e colle paghe e colla liberalità del quale viveva egli, e faceva vivere la moglie ed otto