convitante. Un giorno, per raccontarne una sola, un giorno, in sul finire della tavola, nei momenti della più viva e schietta allegria, che non si sarebbe potuto dire chi più godesse, o la brigata di sparecchiare, o il padrone d’avere apparecchiato, andava egli stuzzicando con superiorità amichevole uno di quei commensali, il più onesto mangiatore del mondo. Questi, per corrispondere alla celia, senza la menoma ombra di malizia, proprio col candore d’un bambino, rispose: “eh, io faccio orecchie da mercante.” Egli stesso fu tosto colpito dal suono della parola che gli era uscita di bocca: guardò con faccia incerta alla faccia del padrone, che si era annuvolata: l’uno e l’altro avrebbero voluto riprendere quella di prima; ma non era possibile. Gli altri convitati pensavano ognuno da per sè al modo di sopire il picciolo scandalo e di fare una diversione; ma pensando, tacevano, ed in quel silenzio lo scandalo era più manifesto. Ognuno scansava d’incontrare gli occhi degli altri; ognuno sentiva che tutti erano occupati del pensiero che tutti volevano dissimulare. La gioia per quel giorno se ne andò; e il povero imprudente, o per parlare con più giustizia, disfortunato, non ricevette più invito. Così il padre di Ludovico passò gli ultimi suoi