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come due cavalli bizzarri, condotti a mano da un cocchiere, col quale sanno per costume cbe non si può vincerla, pure danno di tratto in tratto qualche scambietto, che scontano tosto con una buona strappata di morso.
Il padre Cristoforo non era sempre stato così, nè sempre era stato Cristoforo: il suo nome di battesimo era Ludovico. Era egli figliuolo d’un mercante di ***, (questi asterischi vengono tutti dalla circospezione del mio anonimo) che su gli ultimi anni suoi, trovandosi assai fornito di beni, e con quell’unico figliuolo, aveva rinunziato al traffico, e s’era dato a vivere da signore.
Nel suo nuovo ozio, cominciò ad entrargli in corpo una gran vergogna di tutto quel tempo che aveva speso in far qualche cosa a questo mondo. Predominato da questa fantasia, studiava egli ogni modo di far dimenticare che era stato mercante: avrebbe voluto poterlo dimenticare egli stesso. Ma il fondaco, le balle, il giornale, il braccio, gli comparivano sempre nella memoria, come l’ombra di Banco a Macbeth, anche fra la pompa delle mense e il sorriso dei parassiti. E non si potrebbe dire la cura che dovevano porre quei poveretti a schifare ogni parola che potesse parere allusiva alla antica condizione del