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zione dei principii relativi alla esteriorità di ciascun fenomeno luminoso, lasciando impregiudicato l’uso del mezzo materiale che meglio avrebbe servito per riprodurli pittoricamente.

Così da un lato questa libertà che non solleva l'artista dai pericoli dei tentativi e delle cadute inevitabili, non basta per sospingere ad applicare i nuovi postulati scientifici all'arte, nè basta l'esame oculare delle opere di quelli che si sono avventurati alla ricerca perchè sia possibile risalire al principio da cui l'artista ricava il suo mezzo d’interpretazione, mai più potendo essere l’arte l'applicazione di una rigorosa formula.

Onde a ragione l'artista, timoroso delle proprie forze, quanto di perdersi per false vie o, come più spesso avviene, di essere trascinato alla meschinità della imitazione formale di un maestro, vorrebbe che alla nozione teorica fosse sempre congiunta l'applicazione al caso pratico.

Ma in fondo al sentimento giusto dello studioso delia pittura di essere persuaso da prove concrete, sta il maggiore ostacolo alla conquista del carattere individuale del mezzo di copia del vero, poichè ogni caso concreto risoluto con mezzi materiali nel modo che più si ritiene convincente, non lasci altra via di scelta che la imitazione formale.

Il sistema dei precetti non potrebbe fare miglior prova nel divisionismo di quello che già fece nelle vecchie scuole, quando mancò lo spirito informatore del mezzo tecnico, cioè una sensazione profonda dal vero ed un impeto irresistibile di tradurla coll’arte. Sotto questi impulsi la cognizione dei principî scientifici si coordina meravigliosamente colle interpretazioni dei maestri che hanno operato, e apparisce evidente come nel divisionismo non è tale complicato congegno che non sia dato tracciarne da sè l’orbita d'azione pratica, nè il meccanismo d’adattamento dei