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I Vicerè 77

gli altri; e Chiara consentiva in queste come in tutte le altre opinioni del marito; in cuor suo dava però ragione allo zio, voleva che le dessero quel che le toccava perchè, gareggiando d’affetto con Federico, le doleva che egli dovesse sostener da solo il peso della casa; ma il marchese, da canto suo, protestava: «Io t’ho presa per te e non per i tuoi denari! Anche se tu non avessi nulla, non m’importerebbe... Del resto, non vuol dire che rinunzieremo ai nostri diritti. Lasciamo prima fare a Lucrezia e a Ferdinando; io non voglio essere il primo a intentare una causa alla tua famiglia...»

Quel disinteresse, quel rispetto da lui dimostrato verso casa Uzeda, accrescevano la devozione e l’ammirazione di Chiara, la facevano uniformare ai suoi desideri con tanto maggior zelo, quanto che, giusto in quei giorni, votatasi per consiglio della Badessa di San Placido al miracoloso San Francesco di Paola, ella aveva di nuovo la speranza d’essere incinta. Così, per difendere il marito da quella mosca cavallina di don Blasco, teneva fronte lei stessa allo zio, gli diceva:

― Sì, va bene; Vostra Eccellenza ha ragione, parla per amor nostro; ma il rispetto alla volontà di nostra madre...

― Tua madre era una bestia ― gridava il monaco ― più di te!... Qual è stata la volontà di tua madre? Quella di rovinarvi tutti per amore di Raimondo e per odio di Giacomo! Pazza tu e lei! Manata di pazzi tutti quanti!... ― E montando più in bestia per le moine che marito e moglie si facevano tutto il giorno, specialmente all’ora del desinare, quando si servivano reciprocamente come in piena luna di miele e s’imbeccavano al pari di due colombi, il monaco scoppiava: ― Io non so veramente chi è più bestia, fra voi due!...

Tanto che una volta Chiara, presolo a parte, protestò:

― Vostra Eccellenza mi dica quel che le piace, ma non tocchi Federico. Non tollero che se ne parli male...

― Che tolleri e talleri mi vai contando? ― proruppe il monaco di rimando. ― O credi che la gente abbia