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I Vicerè 71

nulla, di dividere le sue ricchezze ai due fratelli, cioè defraudando il primogenito, che avrebbe dovuto aver tutto, e favorendo l’altro che non avrebbe dovuto aver nulla. Degli altri due, Lodovico era stato quasi soppresso per dar posto a Raimondo, mentre Ferdinando aveva potuto vivere fin ad un certo punto libero e a modo suo. Verso le donne, invece, ella aveva nutrito un più profondo ed eguale sentimento di repulsione e quasi di sprezzo, lavorando a impedire che «rubassero» i fratelli. Angiolina, la maggiore, era stata condannata alla vita claustrale fin dalla nascita, per una colpa imperdonabile commessa nel venire al mondo. Dopo un anno di matrimonio, donna Teresa era vicina a partorire: aspettava un maschio, il primogenito, il principino di Mirabella, il futuro principe di Francalanza: ella non solo l’aspettava, ma non ammetteva che non venisse. Nacque invece una femmina: la madre non le perdonò più. Fin da quando la tolse dalle fasce la vestì da monachella; la bambina non parlava ancora che fu portata ogni giorno alla badia di San Placido; a sei anni fu chiusa lì dentro «per educazione», a sedici la mite e semplice creatura, ignara del mondo, soggiogata dalla volontà materna e dagli stessi impenetrabili muri del monastero, si sentì realmente chiamata a Dio: in tal modo morì Angiolina Uzeda e restò Suor Maria Crocifissa.

Chiara, venuta subito dopo e rimasta in casa, aveva provato peggio il rigore materno; nè la principessa l’aveva lasciata al secolo per paura del biasimo con cui la gente avrebbe considerato il sacrifizio di due figliuole; bensì per esercitare ella stessa sulla ragazza una vigilanza e un’autorità più severa e più forte di quella che la Badessa esercita in una badia. «Ma da una pazza come mia cognata,» soleva dire don Blasco, «e da una bestia come mio fratello, che cosa doveva venir fuori? Una bestiona arcipazza, naturalmente!» E che s’era visto, infatti? S’era visto che fin a quando la madre l’aveva tenuta in un pugno di ferro, questa figliuola