Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
I Vicerè | 663 |
et vrai homme, dans l’hostie sainte exposée sur cet autel, comme notre Seigneur et maitre et comme le Chef suprème du.... Au pied du Christ Jésus nous jetons nos biens, nos familles, nos personnes, notre vie, notre honneur, en un mot tout ce qui tient le plus au coeur de l’homme....» Contenendo a fatica il sorriso, Consalvo sorse in piedi.
— Non sai che Ferdinanda sta male? — gli disse la duchessa.
— Che ha?
— Un’infreddatura. Ma alla sua età tutto può esser grave.... Perchè non vai a trovarla?
Egli ascoltò il consiglio. Anche da quella parte poteva venirgli qualcosa, un mezzo milioncino. Se fosse stato più accorto, avrebbe preso con le buone la vecchia, senza rinunziare, beninteso, a nessuna delle proprie ambizioni. L’ostinazione, la durezza di cui aveva dato prova anche con lei erano sciocche, degne d’un Uzeda stravagante, non dell’onorevole di Francalanza, dell’uomo nuovo che egli voleva essere. E arrivando in casa della vecchia, in quella casa dov’era venuto tante volte bambino, a veder gli stemmi, a udire le storie dei Vicerè, ad abbeverarsi d’albagia aristocratica, un muto sorriso gli spuntò sulle labbra. Se gli elettori avessero saputo?
— Come sta la zia? — domandò alla cameriera, una faccia nuova.
— Così così.... — rispose la donna, guardando curiosamente quel signore sconosciuto.
— Ditele che il principe suo nipote vorrebbe vederla.
La vecchia era capace di non riceverlo; egli aspettava la risposta con una certa ansietà. Donna Ferdinanda, udendo che c’era di là Consalvo, rispose alla cameriera, con voce arrochita dal raffreddore: «Lascialo entrare.» Ella aveva saputo gli ultimi vituperii commessi dal nipote, la parlata in pubblico come un cavadenti, i principii di casta sconfessati, l’inno alla libertà e alla democrazia, il palazzo Francalanza invaso dalla folla dei