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I Vicerè | 661 |
mezzanotte, con appena due ore di sosta per la colazione ed il pranzo. Modestamente, egli tentava parlare dei risultati generali, dell’«ottimo esperimento» che aveva fatto la nuova legge, del senno di cui avevano dato prova gl’Italiani; ma non lo lasciavano dire, gli parlavano soltanto di lui, della sua clamorosa, meritata vittoria.
Il quarto giorno uscì nelle vie. Si spezzò il braccio, dalle tante scappellate, dalle tante strette di mano. La gioia gli si leggeva in viso, traspariva da tutti i suoi atti e da tutte le sue parole, nonostante lo studio per contenerla. Stanco di veder gente, per assaporare altrimenti il proprio trionfo pensò di far visita ai parenti. Cominciò dal duca, che veramente stava male, con gli ottanta anni d’intrighi e di cupide mene sulle spalle.
— È contenta Vostra Eccellenza dei risultati? — gli domandò Consalvo.
Ma il vecchio, quantunque avesse raccomandato a tutti il nipote perchè il potere restasse in famiglia, pure non sapeva difendersi da un senso d’invidia gelosa pel nuovo astro che sorgeva, mentre egli non solo era tramontato politicamente, ma sentiva di aver poco da vivere.
— Ho sentito.... va bene.... — borbottò seccamente.
— Ha visto pure che nel resto d’Italia tutto è andato benissimo? Pareva dovesse cascare il mondo, e i radicali sono appena qualche dozzina. Anche la Destra ha guadagnato....
Egli piaggiava un poco lo zio, del quale aspettava adesso l’eredità. A Roma avrebbe avuto bisogno di denari, di molti denari; quanto più ricco sarebbe stato, tanto più presto avrebbe conquistato il suo posto nella capitale. E la specie di freddezza che gli dimostrava il duca non lo inquietava: a chi avrebbe dovuto lasciare la sua sostanza, se non all’erede del nome degli Uzeda? Ai figli di Teresa, forse?
Lasciata la casa dello zio, egli andò dalla sorella. Se doveva esser grato a costei per la generosità con la