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648 | I Vicerè |
sembrava che tutta quella moltitudine avesse una sola bocca per urlare, due sole braccia per applaudire. «Uno... due... due e mezzo... tre minuti....» alcuni contavano, con gli orologi in mano, e si vedeva gente con le lacrime agli occhi, dalla commozione; molti perdevano la voce: stanchi di sventolare i fazzoletti, se li legavano ai colli rossi e sudati. «Basta... basta...» diceva Consalvo, a bassa voce, con un senso di vera paura dinanzi a quel mare urlante, e Baldassarre, da lontano, non potendo attraversare il muro vivente che lo serrava tutt’intorno, faceva segni disperati alla musica; e finalmente i sonatori compresero, la musica finì, gli applausi e le grida si spensero; ma, ad un tratto, mentre il presidente del comitato si faceva alla balaustrata presentando il candidato, squillarono le note dell’inno garibaldino, un nuovo fremito corse per la folla, il delirio ricominciò... Ora Consalvo, vinta la commozione paurosa, ringraziava più francamente a destra e a sinistra, e sorrideva, sicuro di sè, gonfio il cuore di fiducia superba. La musica cessò nuovamente, la folla si chetò, le bandiere appoggiate alle colonne del portico formarono una nuova decorazione: l’ufficio di presidenza, i giornalisti, gli stenografi presero posto alle loro tavole e i segretarii tirarono fuori dalle cartelle i loro fogli. Uno di essi sorse in piedi, e in mezzo al silenzio generale cominciò con voce stridula la litania delle adesioni. Ma la gente stancavasi, le parole si perdevano in un sordo mormorìo. In un gruppo di studenti motteggiatori discutevasi animatamente se il candidato avrebbe cominciato con l’aristocratico Signori o il repubblicano Cittadini? Uno affermò: «Scommettiamo che dirà Signori cittadini?» Ma gli entusiasti lanciavano sguardi severi agli scettici, intimavano il silenzio. Finalmente la litania finì. Consalvo, con una mano sol veliuto della balaustrata, voltato di fianco, aspettava. Ad un cenno del presidente, si volse alla folla:
— Concittadini!... Se la benevolenza dei miei amici vi ha indotto a credere che io possegga le doti dell’o-