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646 | I Vicerè |
specchiavano al gaio sole autunnale; pennacchi e bandiere ondeggiavano al vento; i cartelloni multicolori vestivano a festa i muri del monastero.
Baldassarre, in redingote e cappello alto, con una coccarda grande come una ruota di mulino, andava e veniva, sudato, sbuffante, come ventotto anni addietro, quando ordinava l’aristocratico cerimoniale dei funerali della vecchia principessa. Ma allora egli era servo stipendiato, e adesso libero cittadino che interveniva a un metingo democratico, e che prestava il suo appoggio al principe non per quattrini ma per un’idea. Alla folla che voleva entrare ad ogni costo, diceva, alzando le mani: «Signori miei, un po’ di pazienza; c’è tempo... ci vuole un’ora...» Era possibile lasciar entrare la ciurmaglia prima degli invitati?... Ma alle undici e mezzo la resistenza fu impossibile: dato ordine ai suoi dipendenti di difendere almeno i posti riservati, lasciò aprire la terrazza e l’arena. In un attimo l’onda umana vi si rovesciò. Era ancora la folla anonima, il popolo minuto; ma a poco per volta cominciavano a venire le persone di riguardo, signori e signore eleganti, dinanzi alle cui carrozze s’apriva l’altra folla rimasta nel cortile esterno. Baldassarre, nella palestra, additando alle dame i loro posti, si voltava tratto tratto verso i compagni: «Dite che le bande vengano qui, che prendano posto!... Non ci sarà la musica all’arrivo del candidato!...» Quelle bestie non ne azzeccavano una! Impossibile aver le bande, neanche dopo essersi sgolato un’ora; tanto che dovè correre egli stesso a chiamarle: «Che fate qui? Non è il vostro posto! Venite dentro!...» Egli non era più maggiordomo, ma le cose malfatte non poteva tollerarle. Uno del comitato non disse che bisognava sonare al primo arrivo del principe? Egli si guastò: «Il ricevimento si fa nella palestra, non nel cortile! Volete darmi lezioni?...» E mise le bande al posto opportuno, ordinando: «Marcia reale ed inno di Garibaldi!...»
Ora la palestra offriva uno spettacolo veramente straordinario: l’arena era un mare di teste, serrate le file