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624 | I Vicerè |
Giulente, nell’uscire, non rispose al saluto dei servi, non udì quel che gli diceva il maestro di casa. Credettero che fosse impazzito, vedendolo scappar via, acceso in viso, col braccio levato e il pugno chiuso. Parlava solo: «Falsi, bugiardi, traditori!... La rivoluzione! il salto nel buio!... Essi però saltano in piedi!... S’è aggiustato gli affari di casa sua!... Adesso il nipote!... Il salto nel buio!... Borbonici fin nelle ossa!... Dovevano impiccarlo, al Sessanta!... Ed io, buffone, che li ho serviti tutt’e due!... Gli augurii a Francesco II!... Adesso è di Sinistra!... Buffone!... Sono stato sempre buffone!» Cocente, insoffribile, destavasi a un tratto in lui la coscienza della situazione secondaria in cui era stato tenuto, del mal garbo con cui lo avevano trattato. «La nostra parentela non è così stretta!...» Quel bardassa glie l’aveva spiattellato in faccia! Parenti? Erano stati mai parenti per lui? Tutti, tutti lo avevano guardato dall’alto, come un intruso, come indegno di loro! Lo avevano dapprima sdegnato per i suoi studii, quegli ignoranti, per l’«ignobile» laurea ch’egli aveva presa: ed erano stati i soli che l’avevano costretto ad esercitare la professione, per sostenere le loro magagne: la vecchia, il principe, Raimondo... «Chi sono dunque?... Una mala razza di predoni spagnuoli, arricchiti con le ladrerie!... A me?... Io me li metto sotto i piedi!...» Invece egli li aveva serviti, corteggiati, piaggiati; che altro aveva fatto se non magnificare la loro presunzione, incoraggiare le loro pazzie, approvare le loro birbonate? «Buffone! buffone! Sono sempre stato buffone!...»
Arrivò a casa senza sapere da che parte c’era venuto. Strappò il campanello, entrò come uno spiritato. Lucrezia, sdraiata sopra una poltrona, colle mani sulla pancia, lo guardò un poco curiosamente, poi disse:
― Che hai?
Egli le si piantò dinanzi, con gli occhi fuori dell’orbite.
― Che ho?... Che ho?... Ho che sono una massa d’infami traditori!...