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620 | I Vicerè |
dell’appalto non aveva fatto buona prova. Egli dichiarò, nelle private conversazioni, che il ritorno alla riscossione diretta era per lui uno sbaglio e che perciò bisognava correggere i difetti del sistema vigente, non abbandonarlo: in Giunta non fiatò, lasciò che la maggioranza si pronunziasse. La maggioranza deliberò di mutar sistema. La sera stessa, andato a casa, egli scrisse due lettere; una al Prefetto, con la quale rassegnava le sue dimissioni; l’altra, collettiva, a tutti gli assessori, annunziando loro che «per ragioni di delicatezza» aveva già mandato la rinunzia alla Prefettura.
Fu come un fulmine a ciel sereno. «Delicatezza?...» esclamò Giulente, a cui tutti gli altri chiedevano spiegazioni; «che delicatezza? Io non capisco!...» E la Giunta in corpo andò a trovarlo, mentre la notizia si diffondeva rapidamente per gli ufficii.
— Ci spiegherai, — gli disse Benedetto in nome dei colleghi, — che significa questa lettera?
— Significa, — rispose il principe, guardando per aria, — che io non ho voluto esercitare nessuna costrizione, e siccome il vostro modo di vedere è contrario al mio, per lasciarvi liberi, me ne vado.
— Ma a proposito di che?... Forse dei dazii?...
— Dei dazii come di altre cose...
Comprendendo che quella gente veniva per indurlo a ritirare le dimissioni, egli tagliava la via alle insistenze. Disse che da un pezzo, in tante questioni, in cento piccoli affari quotidiani, s’era accorto che non c’era più fra loro il buon accordo d’un tempo. Ora egli non poteva nè rinunziare alle proprie idee, nè imporle agli altri: il meglio era quindi andarsene.
— Potevate però dirlo prima! Non piantarci in asso! È questo il modo?...
Confusamente, essi comprendevano il tiro che aveva loro giocato, il ballo in cui li lasciava; Giulente soltanto insisteva:
— Ebbene, c’è mezzo di riparare: torneremo sulle deliberazioni prese; il Consiglio non le ha ancora esaminate; faremo come vorrai...