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610 I Vicerè


Era il portinaio che gli faceva cenno di dovergli parlare.

— Permetti... — disse al cugino, e avvicinossi al servo, credendo gli chiedesse qualche ordine.

— Eccellenza... venga qui... — mormorava l’altro, trascinandolo nella stanza attigua con aria di mistero, che Consalvo, nonostante la tristezza del momento, giudicava un poco buffa. — Eccellenza! — esclamò a un tratto, quando furono soli, con voce di terrore che diede un senso di raccapriccio al giovane. — Che disgrazia, Eccellenza!... Suo cugino il barone... Il cognato della duchessina...

— Giovannino? — esclamò egli, non comprendendolo.

— S’è ammazzato, è morto!.... Or ora; è venuto or ora il cameriere della duchessa... L’ho lasciato abbasso... Morto, con una pistolettata... Per avvertir prima Vostra Eccellenza... Bisogna mandare qualcuno...

Un sospiro di terrore e d’ambascia sfuggì dal petto a Consalvo. Il «figlio del pazzo,» la pazzia, la morte violenta!... Ad un tratto si scosse, strinse il braccio al servo:

— Non una parola a nessuno, capisci?.... Andrò io stesso... Aspetta il mio ritorno... Non dire che sono andato fuori...

Sentiva di dover fare qualcosa. E quel sentimento, la nettezza della percezione, la rapidità della risoluzione gli procuravano un vero senso di sollievo, di fiducia, come se uscendo da un sogno penoso s’accorgesse in quel punto d’esser desto e al sicuro.... Alla pazzia, al suicidio del cugino non era estranea Teresa: egli non sapeva in qual misura, ma era certo che non la sola eredità, non la sola malattia avevano sconvolto il cervello del giovane. Bisognava dunque nascondere il suicidio per Teresa, per la famiglia, per la gente... E appena giunto in casa dei Radalì, appena entrato nella camera dove il cadavere giaceva per terra, ai piedi di un divano, sotto un trofeo d’armi, esclamò dinanzi alla servitù costernata: