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604 I Vicerè

ultime volontà! Aveva provveduto ai funerali! Egli era jettatore di sè stesso! Non gli restava più che morire! Nessuno gli cavò più una parola: immobile, tetro, serrò gli occhi, aspettando.

Il notaro era già corso dal duca:

— Il principino diseredato! Messo fuori di casa! Erede universale la figlia! Il palazzo alla madrigna!... E quando mai s’è vista una cosa simile?... La casa Francalanza è proprio finita?... Pensateci voi!... Riparate lo scandalo!... Persuadete quel pazzo!...

Il duca, in quei giorni, aveva da fare: la tredicesima legislatura era stata chiusa, i comizii convocati per il 26 maggio. Deciso a ritirarsi se lo avessero nominato senatore, egli ripresentavasi ancora una volta perchè la nomina non voleva venire. E tra la devozione dei vecchi amici, tra l’indifferenza sfiduciata di quanti speravano nella promessa riforma elettorale per sbarazzarsi di lui, la sua candidatura non andava peggio delle altre volte: Giulente, credutosi sul punto di ottenere il posto, tornava a battersi per lo zio. Nonostante le sue occupazioni, udite le notizie portategli dal notaro, il duca accorse a palazzo; ma il principe aveva dato ordine di non lasciar entrare anima viva. Andò allora in cerca di Consalvo. Questi era al Municipio, dove presiedeva, nella sala della Giunta, una riunione d’ingegneri per una nuova opera che aveva divisata: la costruzione di grandi acquedotti destinati a dotar d’acqua la città. Udendo che suo zio lo chiamava, chiese permesso agli astanti e andò a riceverlo nel suo gabinetto.

— Non sai che succede? — esclamò piano il duca, ma con aria grave ed inquieta; e gli riferì ogni cosa.

— Ebbene? — rispose Consalvo, arricciandosi i baffi.

— Come, ebbene?... Ma va’ a gettarti ai suoi piedi!... Chiedigli perdono!... Arrenditi una buona volta...

— Io?... Perchè?... — E con un sorriso ambiguo, soggiunse: — Può togliermi quel che mi dà la legge? No?... Faccia del resto ciò che gli pare!

Lo zio restò a guardarlo, interdetto, non compren-