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I Vicerè | 589 |
contraddizione, a un’osservazione senza importanza della madre o del fratello, si spazientiva, rispondeva sgarbatamente; alle volte gridava con le mani in testa: «Volete dunque farmi impazzire?...» Solo Teresa pareva esercitare un’influenza pacificatrice sul suo spirito ammalato. Come per virtù d’un senso più fine, perfetto, egli intendeva sempre tutto ciò che diceva Teresa, quasi leggesse le sue parole negli sguardi, nello stesso movimento delle labbra. Ed a poco a poco, per quel benefico influsso, egli migliorò, guarì, riprese le abitudini d’un tempo, ricominciò a vestirsi con cura, a prendere interesse alle cose che vedeva e udiva. Un giorno si fece radere la barba: fu una specie di trasformazione come quelle che si vedono al teatro: ringiovanì in un momento, il bel ragazzo di un tempo riapparve.
— Così va bene! — gli disse Consalvo, che veniva spesso a trovarlo, quando le sue occupazioni sindacali lo lasciavano libero
Egli era adesso all’apogeo della popolarità: non si sentiva parlare d’altro che della sua intelligenza, della sua accortezza, del gran bene che faceva al paese: il governo l’aveva nominato commendatore della Corona d’Italia. Spesso, tuttavia, s’impegnavano discussioni tra lui e Giovannino, poichè quest’ultimo osservava che col sistema di buttar via allegramente i quattrini in opere più o meno utili le finanze del comune, già floridissime, correvano rischio di dare un crollo.
— Chi ne ha ne spende! — rispondeva Consalvo. — Après moi le déluge...
— Dovranno far debiti, se continuerai di questo passo...
— Qualcuno li pagherà. Mio caro, ho da farmi popolare; mi servo dei mezzi che trovo. Credi tu che questo gregge m’apprezzi per quel che valgo? S’ha da buttargli la polvere agli occhi!
Teresa e Giovannino, nei loro discorsi, parlavano sempre di lui, s’accordavano interamente nel giudicarlo. Quel suo disprezzo di tutto e di tutti li addolorava: