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I Vicerè | 579 |
secreto senso di rappresaglia contro i parenti lo spingeva a continuare per far loro onta.
E un giorno si diffuse per tutta la città una notizia:
— Non sapete nulla? il cavaliere don Eugenio chiede l’elemosina!
Egli accattava, alla lettera. Anche se aveva in tasca qualche lira, s’avvicinava agli sconosciuti, tendeva la mano, diceva:
— Per gentilezza, mi favorite due soldi? Un soldo, per comprare un sigaro?
Acchiappava la moneta come una preda, la cacciava in tasca; s’avvicinava a un altro:
— Un soldo, per favore?
Teresa, accompagnata dal marito, andò a trovarlo nello stambugio dove s’era ridotto, gli si gettò ai piedi:
— Zio, noi le daremo tutto quel che vorrà, purchè non faccia più questo!... Una persona come lei, come può abbassarsi così?
— Sì, sì...
Egli prese i denari che gli porgevano; il domani ricominciò. Adesso era un’idea fissa; la malattia che tornava a tormentarlo finiva di scombuiare la sua debole testa d’Uzeda. Lacero come un vero accattone, con la barba bianco-sporca spelazzata sul viso smunto, i piedi in grosse scarpe di panno, andava attorno, appoggiandosi a un bastone, chiedendo:
— Un soldo, per favore!... per questa volta sola!...
E per procacciarselo dava spettacolo della sua pazzia. Certuni gli domandavano chi era, se non era il cavaliere Uzeda? e allora lui:
— Eugenio Consalvo Filippo Blasco Ferrante Francesco Maria Uzeda di Francalanza, Mirabella, Oragua, Lumera, etc., etc., Gentiluomo di Camera (con esercizio) di Sua Maestà, quello era Re! — e si cavava il cappello — Ferdinando II; medagliato da Sua Altezza il Bey di Tunisi del Nisciam-Ifitkar, presidente dell’Accademia dei Quattro Poeti, membro corrispondente di