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I Vicerè 577

— È una bestia, non sa far nulla. Volete che lo zio del sindaco serva da usciere o da accalappiacani?

Era chiaro che al Municipio non c’era da far niente per il legittimo orgoglio del principino. Giulente andò dal duca, suggerendogli di metterlo in qualche ufficio alla Provincia o alla Prefettura. E il duca, per evitare altre domande di sussidii, fece in modo da ottenergli un posto di copista all’archivio provinciale, il meglio che si potè trovare. Ma quando ne diedero comunicazione all’interessato, il cavaliere diventò rosso come un pomodoro.

— A me un posto di scrivano? Per chi m’avete preso?

— Ma veda... — gli fece considerare rispettosamente Benedetto, — Vostra Eccellenza non ha titoli accademici... è avanzata in età... le amministrazioni pubbliche sono esigenti...

— E mi proponi di fare il copista? — gridò il cavaliere. — A me, Eugenio Uzeda di Francalanza, Gentiluomo di Camera di Ferdinando II, autore dell’Araldo Sicolo?... Perchè non lo fai tu, pezzo d’asino che sei?

Il vecchio ricominciò a chiedere aiuto. Ma il duca, per punirlo del rifiuto del posto, gli chiuse la porta in faccia, e Lucrezia, dopo averlo giudicato degno dei più alti ufficii per far onta al marito, non lo volle neppur lei per la casa quando lo vide questuare... Un giorno, il cavaliere, sempre più miserabile e stracciato, andò dalla nipote Teresa. Il portinaio, non riconoscendolo, non voleva lasciarlo passare; arrivato finalmente dinanzi alla duchessa nuora, che giunse le mani vedendolo in quello stato, cominciò a querelarsi:

— Vedi come m’ha ridotto tuo padre? Quel birbante che mi ha rubato il libro? Quel ladro che mi ha...

— Zio, per carità!... — esclamò Teresa: e vuotò la sua borsa nelle mani del vecchio che tremava dalla cupidigia alla vista dei quattrini. Egli si ripresentò altre volte al palazzo ducale, ma la duchessa madre, per evitare lo scandalo tra la servitù, dichiarò a Teresa che

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