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576 | I Vicerè |
nuovo maestro di casa confessò: «Io mi vergognavo ogni volta che lo dovevo annunziare al padrone...»
Tutti i tentativi del vecchio per salire a palazzo furono vani: egli ebbe un bel dichiarare: «Mio nipote mi aspetta, m’ha detto che sarebbe in casa,» oppure: «L’ho visto rientrare,» oppure: «Eccolo lì, dietro quella finestra...» il portinaio, i cocchieri, i famigli gli dicevano sul muso: «Vostra Eccellenza può andarsene, che perde il suo tempo,» e gli davano dell’Eccellenza come in tempo di carnevale ai facchini di piazza vestiti da barone. Egli tentò di salire per forza, ma allora lo afferrarono e lo spinsero fuori: «Eccellenza, con le brusche?... Questi non son modi da Eccellenza pari vostra!...» Un giorno, si mise a sedere in portineria, dichiarando che non si sarebbe mosso fino al passaggio del nipote. Sulle prime, il guardaportone ci scherzò su; poi tentò persuaderlo con le buone, prendendolo dal lato dell’amor proprio: «Qui non è il posto di Vostra Eccellenza!... Un cavaliere come Vostra Eccellenza sedere con un portinaio! Non si vergogna?...» Ma il vecchio non si moveva, non rispondeva, cupo, affamato come un lupo; e il portinaio cominciò a perdere la pazienza, smise a un tratto l’Eccellenza: «Se ne vuole andare, sì o no?...» e come don Eugenio restava inchiodato sulla seggiola, quell’altro montò finalmente in bestia, smise anche il lei, e, afferratolo per le spalle, lo fece sorgere e lo spinse fuori ad urtoni, gridando:
— Fuori, vi dico, corpo del diavolo!
Donna Ferdinanda lo cacciò via come un cane rognoso: il duca gli dette un piccolo soccorso, facendogli intendere di non dover fare assegnamento sopra altre elemosine. Procurargli un posto era il meglio che si potesse fare e ciò che egli stesso desiderava; quindi Benedetto Giulente, il quale lo aveva anch’egli sovvenuto, ne parlò a Consalvo.
— Che posto volete dargli? — rispose il principino.