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572 I Vicerè

aveva abbronzato, la barba cresciuta gli dava un’aria più maschia, simpatica quanto l’antica, ma in modo diverso. Strinse la mano alla cognata, chiedendole premurosamente notizie della sua salute, e volle veder subito il nipotino che giudicò un amore e baciò e ribaciò fino alla sazietà. Ancora più calma e serena di lui, ella lo accolse come un amico che non si vede da molto tempo. Dopo la cerimonia del battesimo, alla quale furono invitati tutti i parenti stretti e larghi, tutte le conoscenze, mezza città, Giovannino annunziò che ripartiva. Fecero a gara per trattenerlo, ma egli dichiarò che c’era molto da fare in campagna, e andò via promettendo ad ogni modo di tornar presto a rivedere il figlioccio.


Molti degli invitati al battesimo, nuovi tra gli Uzeda, avevano chiesto chi fosse un vecchio magro e sfiancato, il quale portava un abito nuovo fiammante e certe scarpe che ridevano dalle crepe, un cappello unto, e una mazza col pomo d’argento.

Era il cavaliere don Eugenio. La stampa del Nuovo Araldo, ossivero Supplimento, gli aveva procurato un altro momento di benessere. Aveva scialato, possedeva qualche soldo: ma lo scandalo era enorme: egli aveva attribuito titoli di nobiltà e stemmi e corone a quanti lo avevano pagato: speziali, calzolai, barbieri sfoggiavano dentro le botteghe quadri dalle cornici dorate dove, sotto corone, elmi e variopinti pennacchi, si vedevano scudi con leoni, aquile, serpenti, gatti, lepri, conigli, ogni sorta di bestie passanti, rampanti e volanti; e poi castelli, torri, colonne, montagne; e poi setri di tutte le grandezze, lune d’argento, piene e falcate; soli d’oro, stelle, comete; e tutti i colori dell’iride, tutti i metalli, tutti i mantelli. Nè scrupoli, nè difficoltà lo avevano arrestato: a chi si chiamava Panettiere aveva dato per arme un forno fiammante in campo d’oro, a chi portava il nome di Rapicavoli un bel mazzo di verdura in campo d’argento. Così l’impresa aveva fruttato di gran bei quat-