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I Vicerè | 545 |
strazione andò a gridare: «Viva il sindaco Mirabella!» sotto i balconi della prefettura. E quando il decreto di nomina fu pronto, egli pose un altro patto: che a comporre la Giunta entrassero tutte le frazioni del Consiglio, dai clericali borboneggianti ai repubblicani. Lo lasciarono libero di dettar egli stesso la lista degli assessori: in capo ci mise Benedetto Giulente. Questi ebbe un bel protestare; Consalvo gli disse:
— Se non accettate, tutto va a monte. Io sarò il sindaco di nome, di fatto faremo ogni cosa insieme. Capisco che vi chiedo un sacrifizio, ma voi ne avete fatti ben altri!
Figurarsi Lucrezia! Ella non si potè veramente dar pace.
— Di sindaco, assessore! Fa il progresso del gambero! Qualche giorno di questi lo nomineranno bidello! Il mestiere pel quale è nato! E s’è fatto infinocchiare da quel gesuitello! Per servirgli da comodino! per fargli da servitore! che è buono soltanto a questo!
Ella se n’andava a sfogare dalla zia Ferdinanda e tutt’e due erano nervosissime, intrattabili, perchè giusto s’aspettava di momento in momento la sentenza della Corte d’appello sull’affare del testamento. Il giorno che essa fu pubblicata e diede ragione al principe, annullando la prima perizia e ordinandone una nuova, zia e nipote, verdi dalla bile, fecero cose dell’altro mondo; il povero Giulente, avvilito dalle tante grida, dai tanti rimproveri, scappò di casa come disperato. Il principe invece, che negli ultimi tempi era tornato a star male, guarì come per incanto, e manifestò il proprio contento parlando quasi urbanamente con le persone, chiedendo perfino notizie di «Salut’a noi».
Qualche settimana dopo, nonostante il caldo della stagione, la principessa andò attorno con la figliuola, facendo grandi acquisti di biancheria; poi chiamò delle donne che si misero a cucire e a ricamare servizii d’ogni
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