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544 | I Vicerè |
mande, usciva inaspettatamente in un: «Ma tagliatevi quella zazzera!» oppure: «Lavatevi un po’ le mani!...»
«Come se tutti potessero passar la giornata allo specchio, al par di lui!» mormoravano i rimproverati, dandogli dell’aristocratico, del superbo e dell’infinto, poichè, a sentirlo, tutti gli uomini erano fratelli, fatti per sedersi sopra una stessa panca... Ma le mormorazioni si perdevano nel coro delle lodi degli altri impiegati che egli aveva creati, o ai quali aveva fatto aumentare lo stipendio, o concedere gratificazioni, o accordar permessi, o condonar colpe: tutti quelli che gli stavan dinanzi con maggior umiltà e gli davano del Vostra Eccellenza, come servi. Così, il partito che lo voleva innalzare al supremo magistrato, se era forte in città, al municipio era fortissimo. Tuttavia, egli si schermiva, adducendo l’età immatura, la mancanza di pratica; e a Giulente, il quale faceva il suo giuoco con sempre maggiore ingenuità, aveva confidato che temeva di fare un capitombolo e di chiudersi l’avvenire. «Non cadrai,» assicurava Benedetto, con aria di protezione; «ci siamo noialtri che ti sosterremo, tutto il partito dello zio duca.» Ma egli non s’arrendeva, si faceva pregare dal prefetto, ringraziava «dal profondo del cuore» le commissioni che andavano ad invitarlo, ma dichiarava che il peso era troppo forte per le sue spalle. Continuava a nicchiare, sapendo che c’era una corrente contraria, gl’immancabili brontoloni, i malcontenti invidiosi, tutti quelli che volevano romperla coi soliti signori, con gli eterni Uzeda. E come gl’impiegati municipali gli ripetevano ogni giorno:
— Il sindaco ha da esser Vostra Eccellenza: il paese lo vuole..."
— Che ne so io? — rispose una volta. — Il paese non m’ha detto niente!
Allora fu messa insieme una dimostrazione, con musica e bandiere, per andarlo ad acclamare capo della città. Egli si lasciò strappare una mezza promessa, «se il prefetto proporrà la mia nomina...» La dimo-