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e delicate che ella educava amorosamente. Amante della buona tavola, il primogenito era sempre un po’ intorpidito dal cibo e dalle libazioni; se si facevano quattro salti, egli stava sopra una poltrona a sonnecchiare; Giovannino ballava con Teresa. Una delle cose che più facevano piacere alla principessina era l’udir parlare del fratello in quella casa dove non si poteva più nominarlo: farne le lodi, vantarne l’intelligenza, la serietà della conversione, era il miglior mezzo per guadagnarsi il cuore della sorella. E Giovannino, rammentando i tempi del Noviziato e le monellate commesse a San Nicola, profetava a Consalvo il più lieto avvenire, andava apposta a fargli visita per riferire a Teresa d’averlo trovato intento allo studio.

— Sapete, cugina, — le disse una sera, — Consalvo...

— Sst...! — esclamò piano Teresa, giungendo le mani. — Il babbo....

Infatti il principe passava in quel momento vicino ad essi, dirigendosi verso la duchessa.

— Vogliono Consalvo, — rispose Giovannino all’orecchio della cugina, — consigliere comunale. Vedrete che risulterà dei primi....


Benedetto Giulente, come aveva promesso, fu il padrino del candidato. Egli non sospettava di preparare il terreno ad un rivale. Gli pareva che un posto nella rappresentanza civica bastasse all’attività e all’ambizione del nipote; tutt’al più Consalvo avrebbe potuto prender parte, più tardi, all’amministrazione municipale, essere eletto assessore e, chi sa, un giorno, nominato anche sindaco. Che aspirasse al Parlamento, nè sospettava, nè credeva possibile. Prima di tutto, lo zio duca gli aveva garantito tante volte che, ritirandosi dalla politica militante, avrebbe ceduto a lui, Benedetto, il proprio posto; e questo ritiro, attesa l’età dell’Onorevole, poteva tardare ancora di poco; forse il seggio sarebbe rimasto libero alla prossima legislatura, quando Consalvo non