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528 | I Vicerè |
del padre? Come aveva osato incolparlo?... Se pure egli avesse avuto ragione? se era vero?... Ed ella si nascondeva il viso tra le mani, come nel pauroso momento della rivelazione, per non pensare, per non rammentare. Non rammentava ella la madrigna far da padrona in casa della sua povera mamma? Non rammentava il dolore provato all’annunzio che suo padre sposava quell’altra qualche mese dopo la morte della sua santa mamma?... Ma no! Ma no! Questo non voleva dir nulla! Per scacciare l’orribile pensiero, si segnava, pregava, e usciva fortificata dall’orazione. Era colpa dimorare in quei pensieri, continuar quell’indagine: ella unicamente doveva al padre rispetto, obbedienza ed amore. E credendo suo debito compensarlo della ribellione di Consalvo, lo ubbidiva cecamente, lo serviva con umiltà. Il principe non le sapeva grado di quella sua inesauribile bontà. Se talvolta, essendo triste, provando il bisogno di sollevare un istante lo spirito oppresso, ella si metteva al pianoforte, i suoni lo irritavano, ingiungeva che smettesse. Sempre più interessato, litigava sulle spese per le sue vesti; Teresa si contentava di tutto. Ma pel solo capriccio di criticare, di esercitare comunque la propria autorità, ed anche per una specie d’invidia che, goffo com’era sempre stato, gli destava l’abilità con la quale ella faceva figurare come un abito di lusso la più modesta vesticciuola, la punzecchiava assiduamente a proposito della sarta o del figurino di mode.
Un giorno però, cosa strana, s’occupò dell’abbigliamento della figliuola non per rimproverarne l’eleganza, ma per giudicarlo troppo modesto.
— Non hai un abito più grazioso da mettere oggi?
Era una domenica d’estate, e come di consueto la principessa e Teresa andavano fuori in carrozza per prendere il gelato e fermarsi poi dinanzi al cancello del Giardino pubblico, a veder la folla pedestre che v’entrava borghesemente a udirvi la musica. Ma, usciti appena dal portone, donna Graziella, che s’abbottonava ancora i guanti, disse a Teresa: