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naco, e riconobbe il nipote proprietario di mille esemplari dell’opera.

Il principe aveva capito che l’impresa di quella pubblicazione non era poi l’affare sballato che tutti credevano. I fascicoli successivi, dove s’iniziava la storia delle singole famiglie, andavano a ruba. Don Eugenio, in verità, si limitava a trascrivere il Mugnòs e il Villabianca, infiorandoli di locuzioni di sua particolare fattura; ma, da una parte, quei libri erano introvabili, o costavano caro e si prestavano poco alla lettura, coi loro vecchi tipi, con la loro carta secca, gialla e polverosa, mentre l’edizione di don Eugenio era veramente bella, e i fascicoli degli stemmi colorati fiammeggiavano dal tanto minio e dal tanto oro; da un altro canto, poi, il compilatore usava l’innocente artifizio di sopprimere le indicazioni troppo precise, talchè tre, quattro, cinque famiglie che portavano per caso lo stesso nome senza nessuna relazione di parentado potevano credere che la storia della sola autenticamente nobile fosse anche la propria. A Palermo, a Messina, in tutta la Sicilia, egli trovava così una quantità di «gentilesche genti» e quindi di associati. Certuni volevano dire che prendesse altri quattrini per aggiungere qua e là: «Una branca di cotanto blasonata famiglia fiorisce tuttosì nella vetusta città di Caropepe....» Donna Ferdinanda, pertanto, diventava paonazza dall’indignazione; e anche Consalvo nutriva un profondo disprezzo per quel parente che non solo prostituiva in tal modo sè stesso, ma discreditava tutta la casta. Il principino però, al contrario della zia, teneva per sè i proprii sentimenti, e manifestava solo quelli che gli giovavano. Sentiva di dover fare in politica come aveva visto fare a suo padre, in casa, quando si teneva bene con tutti e secondava le pazzie di tutti i parenti, salvo a dare un calcio a chi non poteva più nuocergli. Adesso adoperava quel metodo in grande, piaggiando tutti i partiti. Quello dello zio duca aveva sempre il mestolo in mano. Veramente nei quattro anni passati dallo scioglimento della questione romana, il fa-