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I Vicerè | 505 |
— Come, falso?
— Falso? saltò su Garino, che se ne stava nel vano d’un uscio.
— Ho detto che è falso, — ripetè Lucrezia, dando uno spintone a suo marito che voleva leggere anche lui il foglio. — Questa non è scrittura dello zio; la scrittura dello zio la conosco.
— Fammi vedere!... e Giacomo considerò attentamente i caratteri, mentre tutti gli altri gli s’affollavano intorno, esaminandoli anch’essi.
— T’inganni, — disse il principe freddamente; — è scrittura dello zio.
Degli altri nessuno espresse un’opinione. Con tono di fine ironia, Lucrezia replicò:
— Allora, vorrei sapere quando l’ha scritto. Stanotte? C’è ancora la sabbia attaccata!
La Sigaraia intervenne:
— Eccellenza, Sua Paternità scrisse il testamento ieri l’altro: perchè, poveretto, il cuore gli parlava e gli diceva che la sua fine era prossima...
— E perchè non ne avete detto nulla? — domandò allora donna Ferdinanda.
— Eccellenza...
— Io ne fui avvertito, — affermò il principe.
— Ma a noi dicesti che non credevi ci fosse testamento...
— Fui avvertito che si sentiva poco bene, non che avesse fatto testamento!
— Avresti potuto farcelo sapere, — ribattè donna Ferdinanda.
— Ma che! — riprese Lucrezia, dando un altro spintone a Benedetto, il quale le faceva qualche osservazione prudente all’orecchio: — È un testamento falso, si vede dalla freschezza della scrittura e anche dalla firma. Lo zio firmava Blasco Placido Uzeda, col secondo nome preso in religione...
Garino allora credette di dover dire la sua:
— Eccellenza, allora Vostra Eccellenza crede...