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504 | I Vicerè |
aceto. La Sigaraia, dischiusa immediatamente la finestra perchè l’anima del Cassinese potesse volarsene difilato in paradiso, disponeva, singhiozzando, due candele sul comodino. Le ragazze piangevano come due fontane e Lucrezia pareva avesse perduto il suo secondo padre; ma i pianti e le preci a poco a poco cessarono; e allora, asciugatisi gli occhi, Lucrezia disse, tranquillamente:
— Adesso che lo zio è in paradiso, potremmo vedere se c’è testamento.
Nel silenzio generale, il principe, come capo della casa, fece un gesto di consenso. Ma donna Lucia, che finiva d’accendere le candele, si voltò e disse:
— C’è testamento, Eccellenza. La sant’anima, per sua bontà, me lo diede a serbare. Vado a prenderlo subito.
Si potevano udir volare le mosche mentre la donna consegnava al principe una busta aperta, e questi, per deferenza, la passava allo zio duca. Il duca diede un’occhiata al foglio dove c’erano poche righe di scritto, e senza leggere, annunziando il contenuto dei brevi periodi a mano a mano che li scorreva, disse:
— Erede universale Giacomo... esecutore testamentario... un legato di duecent’onze l’anno a don Matteo Garino...
— Nient’altro?... E nient’altro?... domandarono tutt’intorno.
— Non c’è altro.
Donna Ferdinanda s’alzò e si mise a leggere il foglio prendendolo dalle mani del principe a cui il duca l’aveva passato; ma Lucrezia, venendo a metterglisi al fianco, le disse:
— Vostra Eccellenza mi lasci vedere.
Il principe pareva del tutto disinteressato. Le due donne che stavano chine sul documento scambiarono sottovoce qualche parola; poi Lucrezia annunziò, forte: — Questo testamento è falso.
Tutti si voltarono. Il principe, con estremo stupore, esclamò: