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I Vicerè | 501 |
quel discorso che tutti credevano improvvisato, con tanta disinvoltura era detto; ma un vero trionfo successe all’argomentazione finale: la necessaria corrispondenza tra la libertà economica e la politica: «le più grandi garanzie di benessere e di felicità, le ragioni d’essere di questa giovane Italia, ricomposta ad unità di nazione libera e forte per virtù di popolo e Re!...
III.
Una notte, mentre a palazzo tutti dormivano tranne Consalvo curvo sui volumi di Spencer, fu picchiato con grande fracasso al portone: Garino, il marito della Sigaraia, chiamava il principe a rotta di collo perchè a don Blasco era venuto un accidente.
Il monaco, floscio come un otre sgonfiato, rantolava. La vigilia aveva fatto una solenne scorpacciata e cioncato largamente: spogliato e messo a letto da donna Lucia, s’era addormentato di botto; ma nel mezzo della notte un sordo tonfo aveva fatto accorrere tutti quanti, e allora s’era visto il Cassinese disteso quant’era lungo in terra, senza più sentimento. La Sigaraia, le figliuole, la serva non la finivano di raccontar la disgrazia; ma Garino, che lasciata l’ambasciata al principe e chiamato un dottore, era tornato di corsa a casa, aveva la ciera rannuvolata e non diceva niente. Mentre il medico dichiarava di non poter far nulla, perchè il colpo era fulminante, e le donne ricominciavano a contristarsi, e ad invocare la Bella Madre Maria e tutti i santi del paradiso, Garino prese per un braccio il principe appena arrivato e lo trascinò in una stanza remota.
— Eccellenza, siamo rovinati! Ho frugato da per tutto, e non c’è niente! Rovinata Vostra Eccellenza e rovinati noi! Dopo tanti anni che l’abbiamo servito! E quelle creature anch’esse! Sua Paternità non doveva farci un simile tradimento!