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500 I Vicerè


Immediatamente si fece un profondo silenzio, e tutti gli sguardi si diressero su Consalvo. Rivolte le spalle al muro, guardando da un lato l’assemblea, dall’altro la presidenza, egli cominciò:

— Signori, io vi debbo innanzi tutto chieder venia dell’ardimento di cui potrete accusarmi vedendomi, ultimo arrivato fra voi, osare di prender la parola intorno a una grave materia, oggetto di così accurato esame da parte di socii ai quali volendo ma non potendo dare il nome di colleghi, debbo e voglio dare quello di maestri.

Il laborioso periodo fu detto con tanta sicurezza, uscì così filato, era così abile ed opportuno, sollecitava tanto l’amor proprio dei precedenti oratori, riusciva così inaspettato sulla bocca d’un giovanotto conosciuto fino a quel momento solo per le sue prodigalità ed i suoi vizii, che molti mormorarono: «Bravo!... Bene!...»

Egli continuò. Disse che se il suo ardimento poteva giudicarsi grande, egli sapeva che non meno grande era l’indulgenza del suo uditorio. Qualificò come «modello del genere» la relazione della commissione, la disse «degna veramente d’un Parlamento.» Ne citò due o tre paragrafi quasi letteralmente; quel prodigio di memoria sollevò un lungo mormorio ammirativo. Ma forse l’indulgente assemblea aspettavasi che egli esprimesse la propria opinione? E questa egli esprimeva «con peritanza di discepolo ma saldezza di apostolo.» Egli era per la libertà; per la libertà «che è la più grande conquista dei nostri tempi;» della quale «non si può mai abusare,» perchè essa «è correttivo a sè stessa.» I vantaggi del libero regime erano infiniti, perchè «come dice il celebre Adamo Smith nella sua grande opera...» e infatti «opina anche il grande Proudhon...» ma quantunque «il famoso Bastiat non ammetta,» pure «la scuola inglese è del parere....» Lo stupore e il piacere erano grandi e generali, tutt’intorno; Benedetto godeva come d’un personale trionfo, pareva dicesse: «Avete visto? E quand’io vi garentivo?...» Salve d’applausi interrompevano tratto tratto