Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
480 | I Vicerè |
su in camera. Una camera col pavimento affossato, due strisce di tela bianca a guisa di tendine dinanzi alla finestra, una catinella sopra una seggiola e una brocca per terra.
— Ho dovuto venir qui perché al Grand Hôtel era tutto pieno. Come si sta male in questa città! A Palermo avevo un appartamento di dodici stanze... bisognava vedere che scala!...
E, nonostante il rifiuto oppostogli da Lucrezia, egli cavò di tasca le circolari ed entrò subito in materia.
— Tua moglie non t’ha detto?... Sono venuto per stampare la mia opera... un affare magnifico... tremila copie assicurate fin da ora... Per ventimila lire non la cederei a nessuno... Ma non ho quattrini da cominciare la stampa. Vogliamo farla insieme? Spartiremo i guadagni, da buoni parenti ed amici.
Giulente esitò un poco, poi domandò:
— Che ha detto Lucrezia?
— Tua moglie? Ha detto di sì, solo che tu ti persuada della convenienza della cosa. Guarda un po’... — E non capendo nei panni dalla gioia d’aver trovato finalmente uno che non rifiutava, gli sciorinò dinanzi alcune schede con qualche firma.
— Va bene, va bene, giacchè Lucrezia approva...
— Se anche mutasse parere, in fin dei conti, potremmo fare a meno del suo consenso!...
Benedetto esitò un poco, poi disse:
— Nossignore, è necessario... perché adesso i denari li tiene lei...
— Come! I denari? Tu non puoi disporre di qualche migliaio di lire?
— Eccellenza no... Gli affari pubblici mi portavano via molto tempo... Ho ceduto a lei l’amministrazione...