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474 I Vicerè


Il cavaliere non si scoraggiava neppure adesso. Ridusse la domanda da mille a ottocento e poi a cinquecento lire; e poichè il monaco continuava a rispondere, cantilenando dall’impazienza: «Non le ho, non-ho-de-na-ri.... come debbo dirtelo?...» don Eugenio concluse, pacatamente:

— Allora aspetterò finchè sarai comodo.... Non ho fretta: prima debbo compire la soscrizione... poi ti porterò a veder le schede, le domande, i manifesti...

Sperando di riuscir meglio con la sorella, il cavaliere andò a rinnovare il tentativo con donna Ferdinanda. Asciutta e verde come un aglio, la zitellona pareva sfidare il tempo, gli anni le passavano addosso senza mutarla: ne aveva oramai sessantadue e non ne mostrava più di cinquanta. Solo le mani le si coprivano di rughe e si spolpavano e s’irruvidivano a contar denari, come a lavorare il ferro od a zappar la terra. Anche lei aveva ricevuto la circolare dell’Araldo sicolo: ma, vedendo il fratello, cominciò a chiedergli notizie della sua salute, di Palermo, delle persone che conosceva in quella città; ascoltando con interesse i discorsi interminabili del cavaliere che, incoraggiato da quelle buone disposizioni, nominava un mondo di persone colle quali era come «fratello,» ne narrava i casi con tanto interesse come se fossero occorsi a lui in persona: «la separazione del duca Proti, tanto amico mio... quella pazza della baronessa non mi volle dar retta... io al principe l’avevo detto: Caro Emanuele, pensaci bene...» Le chiacchiere tiravano in lungo, perchè donna Ferdinanda gli dava la corda, ed il cavaliere non ne aveva neppur bisogno, felice di mentovare le sue grandi relazioni palermitane.

— E non sai la più bella notizia? La figlia della Palmi è sposa!

— Sì? E con chi?

— Col mio amico Memmo Duffredi, Duffredi di Casaura, il nipote di Ciccio Lojacomo: la prima nobiltà di Palermo e parecchi milioncini di proprietà...

— Ma davvero?