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458 | I Vicerè |
tori, quelle opinioni francamente professate e ripetute ogni giorno a chi voleva e a chi non voleva udirle sostenevano il pericolante credito del duca. Benedetto Giulente era rimasto, udendole; poichè, prevedendo che lo zio avrebbe seguito fino all’ultimo la politica dei temporeggiatori, s’era messo con quelli. Rimase ancora peggio, quando il duca venne a trovarlo, dicendogli che bisognava ricominciare a pubblicare l’Italia risorta, per spingere il governo sulla via di Roma: i tempi erano maturi e a non secondare la corrente si rischiava d’esserne travolti....
Benedetto, quantunque spendesse tutto il suo tempo al municipio, mise insieme una redazione d’impiegati comunali e di maestri elementari, e pubblicò il foglio. Lucrezia fece cose dell’altro mondo contro quella bestia che voleva Roma, adesso, «quasi potesse mettersela in tasca o portarla a vendere alla fiera!» ma gl'infiammati articoli di Benedetto, il quale diceva che il duca era col popolo, pronto a partire per Firenze se i governanti non volevan udire la voce del paese, procuravano all’Onorevole nuova aura di popolarità.
Il giorno che arrivò la notizia della lettera di Vittorio Emanuele al Papa, arrivò pure da Roma, inaspettato ospite, don Lodovico. Egli aveva dato appena una volta l’anno notizie di sè alla famiglia, tutto intento ai doveri del suo ufficio, alla preparazione della sua fortuna che oramai era avviata. In poco più di tre anni era già segretario a Propaganda ed arcivescovo di Nicea; Pio Nono aveva molta stima di lui. Al principe, che nel primo momento lo guardò come uno piovuto dalla luna, egli disse, con tono di dolce rimprovero:
— Ferdinando è in fin di vita, e mi scrivete appena che sta poco bene? Se non fosse stato per Monsignor Vescovo, non avrei saputo la verità!
E andò a mettersi al capezzale del fratello infermo. Questi non lasciava più il letto; quando chiudeva gli occhi, il suo viso verde e affilato pareva d’un morto; ma rifiutava i rimedi con più ostinazione di prima.