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44 | I Vicerè |
chiamo,» rammentava il cavaliere Pezzino, «che la felice memoria non volle mai chiedere l’istituzione del maiorasco appunto per esser libera di fare a modo suo.» Dunque si sarebbe proprio visto questa enormità? Il capo della casa diseredato? erede Raimondo che non aveva figli maschi? diseredato il principe che aveva già nel piccolo Consalvo il successore?... I lavapiatti, come familiari della defunta, erano richiesti della loro opinione, ma essi che ne sapevano meno di tutti rispondevano evasivamente, per non far torto a nessuno. «E gli altri figli? Ferdinando? Le donne?...» La curiosità, benchè contenuta ed espressa sotto voce, era generale. Il confessore, questo famoso Padre Camillo, non aveva parlato? «Non c’è, è a Roma da parecchi mesi; e anche ci fosse, non parlerebbe: è volpe fina....» E tutti gli sguardi si volgevano naturalmente a Giacomo ed a Raimondo. Questi chiacchierava ancora con donna Isabella, e pareva che il testamento materno fosse l’ultimo dei suoi pensieri, anzi che egli ignorasse perfino la morte della madre; il principe invece aveva un aspetto più grave del consueto, quale conveniva alla tristezza di quei giorni; egli riceveva con espressioni di gratitudine le reiterate condoglianze delle persone che si congedavano. Alcune di queste però non riuscivano a trovarlo, andavano via senza poterlo salutare; e i familiari si guardavano con la coda dell’occhio, comprendendo. Egli aveva una folle paura della jettatura, attribuiva a una gran quantità d’individui il funesto potere; stava sulle spine in loro presenza, evitava di salutaril, con le mani in tasca. Ma il presidente della Gran Corte, appena alzatosi, se lo vide vicino:
― Se lo zio arriverà domani, presidente, fisseremo per posdomani la lettura?
― Quando credete, principe mio! Sono agli ordini vostri!...
― Veramente.... ― aggiunse, abbassando la voce ― io non avrei tanta fretta.... anzi mi parrebbe una sconvenienza verso la memoria di nostra madre.... Ma sa-