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gici, disegnava ogni giorno parecchi teatri della guerra, disponeva a modo suo delle divisioni e dei reggimenti, esclamando: «Questo di qua va là, quello di là va qua...» finchè, stanco, abbattuto, con le mani penzoloni e la testa rovesciata, chiudeva gli occhi e schiudeva la bocca quasi fosse sul punto di spirare.


Frattanto il duca, sentendo crescere l’opposizione e venirgli meno il terreno sotto i piedi, comprendendo la necessità di far qualche cosa per rialzare il proprio prestigio, preparava un colpo di mano. Le inquietudini della guerra accrescevano il malcontento comune, gli avversarii del governo se ne giovavano per gridare e minacciare più forte. L’opposizione, che nei diversi partiti e nei diversi ordini sociali procedeva da diversi motivi e tendeva ad opposti scopi, s’accordava pel momento nel chiedere a una voce Roma. Come più la fortuna della Francia precipitava, le accuse di fiacchezza e di vigliaccheria al governo fioccavano da ogni parte; le minaccie di prendergli la mano parevano dovessero tradursi in fatto da un momento all’altro. Ora, mentre quasi tutti i soddisfatti tenevano a bada i malcontenti e consigliavano la prudenza e navigavano tra due acque, una sera il duca, che se n’era stato nelle sue terre, si recò al Circolo Nazionale dove battagliavasi giorno e notte, ed espresse senza esitazioni il suo pensiero: era venuto il momento d’agire! Se il governo si lasciava scappare quest’occasione, non avrebbe più avuto nessuna scusa agli occhi della nazione! Egli aveva sempre combattuto le impazienze del partito avanzato, perchè, se erano generose, potevano far male al paese. Oggi però i tempi erano maturi, qualunque indugio sarebbe stato una colpa inescusabile. Se a Firenze non facevano il loro dovere, egli minacciava «di scendere in piazza con le carabine, come nel Sessanta.»

«Ah, buffone!... Ah, vecchia volpe!...» esclamavano nel campo avversario; ma, a dispetto dei suoi denigra-