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I Vicerè | 451 |
valiere, ingrandito di quasi il doppio, divenne così una proprietà ragguardevolissima, «un vero feudo!» diceva Garino, il quale adesso esaltava il duca, i suoi talenti, la potenza a cui aveva saputo arrivare: ma quei ciarlatani della farmacia borbonica sbraitavano peggio di prima e profetavano imminente il giorno in cui don Blasco e gli altri sacrileghi avrebbero dovuto restituire il maltolto. Il monaco li lasciava cuocere nel loro brodo e non passava più nel tratto di strada dov’era la farmacia, chè solo a vederli da lontano gli facevano venir da recere. Però, alla lunga, la mancanza della conversazione gli pesava, e una domenica, incontrato per le scale il professore suo inquilino, lo invitò a venirlo a trovare.
Il professore diceva d’essere stato garibaldino, narrava il fatto d’Aspromonte, non parlava d’altro che di cospirazioni e minacciava anche lui il finimondo, ma solo nel caso che l’Italia non andasse a Roma.
— Voi dunque dite che questo governo durerà? — domandava don Blasco, trepidante.
— Se farà il suo dovere! Altrimenti lo manderemo all’aria come gli altri! Gli sbirri non ci spaventano! Abbiamo visto il fuoco! Sappiamo come si fanno le rivoluzioni!
— C’è però gente che crede si possa tornare indietro....
— Tornare indietro? Ma bisogna andare avanti, invece! integrare l’unità nazionale! smantellare l’ultima cittadella della teocrazia, l’ultimo baluardo dell’oscurantismo!... L’umanità non torna indietro! Abbiamo sepolto il medio Evo! Lo stato dev’esser laico e la Chiesa tornare alle sue origini, perchè come disse quel grand’uomo di Gesù Cristo: «il mio regno non è di questo mondo!»
La conversazione dell’inquilino, quantunque di tratto in tratto gli facesse passare qualche brivido per la schiena, piaceva moltissimo a don Blasco, e un giorno anzi, mentre passava dalla farmacia Cardarella, antico ritrovo dei liberali, il professore, che era lì dentro a di-