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I Vicerè | 447 |
coi vezzi che gli aveva fatti ella era l’origine prima della mala creanza del principino.
Donna Ferdinanda riseppe il discorso tenuto dal monaco nello stesso tempo che il suo sensale le dava una notizia strepitosa: don Blasco, non contento d’aver comprato la tenuta di San Nicola, aveva preso dal demanio, giusto in quei giorni, una delle case appartenenti al convento: il palazzotto di mezzogiorno, l’antica abitazione della Sigaraia; ed armeggiando così bene, da farselo aggiudicare per un boccon di pane. Allora, apriti cielo:
— Anche la casa? — gridò la zitellona. — Io l’ho sempre detto che è un porco, un vero maiale! E fa la voce grossa con gli altri, dopo quello che ha sulla coscienza!... Che gli estranei comprino i beni del convento, si capisce: non hanno nessun obbligo; ma lui? che se non l’avessero fatto monaco sarebbe morto di fame? che s’è ingrassato a spese della comunità?...
— O non era quello, — rincaravano nella farmacia di Spataro, — che voleva mangiarsi i liberi pensatori e bandire una nuova crociata addosso agli usurpatori scomunicati e ridare la roba loro al Papa ed a Francesco II?
Ma a don Blasco importava adesso un fico secco se il Re chiamavasi Francesco o Vittorio; chè, entrato nella casa di San Nicola, ci stava da papa: le botteghe le aveva affittate a buoni patti, ed il primo piano anche, a un professore che dava lezioni nella scuola tecnica istituita nel convento. Scrupoli egli non ne provava; perchè anzi, se tutti i monaci avessero imitato il suo esempio, accaparrando le proprietà del monastero invece di sciupare i quattrini che ne avevano portato via, i beni di San Nicola non sarebbero andati in mano di setranei.
— Questo era il vero modo di riparare all’abolizione e non le vociate inutili e ridicole. Ricompràti i beni da tutti i monaci, l’avremmo fatta in barba al governo!
Egli se la pigliava ancora con questo governo, specialmente per via delle tasse che gli faceva pagare; però,