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442 I Vicerè

persuadevano a desistere, ad accomodarsi con le buone; il principino, quantunque le migliori testimonianze lo sollevassero da ogni responsabilità, pure, per evitar altre noie era pronto a sborsare tre mila lire per la bottega di modista.

Ora un bel giorno, mentre s’aspettava da un momento all’altro la notizia che l’imbroglio, un po’ con le minaccie, un po’ con le promesse era accomodato e che il giovinotto non correva più alcun pericolo, il principe che non aveva ancora mosso un solo rimprovero al figliuolo entrò nella camera di quest’ultimo rosso in viso come un pomodoro, spiegazzando un foglio di carta:

— A te!... Che significa questa lettera?

Era per un debito di seimila lire che il principino aveva garentito con una cambiale rinnovata parecchie volte di quattro in quattro mesi; il creditore, volendo esser soddisfatto e profittando della clausura del giovinotto, scriveva al padre avvertendolo della scadenza e invitandolo al pagamento.

Consalvo, nel primo momento, rimase; ma poichè suo padre, animato da quel silenzio, chiedeva spiegazioni gridando più forte, egli rispose freddo e calmo:

— Non c’è bisogno d’alzar la voce. Che cosa le hanno scritto?

— Sai leggere, sì o no? — esclamò il padre, mettendogli il foglio sotto il naso.

Ma il giovinotto si trasse vivamente indietro, come se fosse minacciato da un contatto impuro. Durante i lunghi giorni che aveva passati sopra una poltrona, tenendo il braccio appeso al collo, nell’inerzia forzata, con l’impossibilità di servirsi della mano destra, rabbrividendo alla vista del sangue che ancora trapelava dalla ferita e macchiava la fasciatura, a poco a poco s’era svegliato in lui ed era cresciuto e s’era fatto irresistibile lo stesso senso di ribrezzo che era stato il tormento di sua madre, la stessa repulsione per tutti i toccamenti, lo stesso schifo per le cose che altri aveva maneggiate,