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42 I Vicerè

loro cose galanti e cerimoniose. Egli prendeva le morbide e bianche mani femminili, le teneva un poco fra le sue egualmente bianche e inanellate, poi le baciava. Vedendo rientrare il principe col fratello, lasciò le dame per condurre Raimondo dinanzi alla Fersa.

— Il conte di Lumera.... donn’Isabella Fersa, la più bella dama del regno....

— Non gli creda, dice a tutte così.... — esclamò ella sorridendo. — Sono dolente di conoscerla — riprese, con altro tono di voce e stringendogli la mano — in questa triste circostanza... — Sospirò un poco, poi ricominciò: — Giusto, la contessa mi diceva che arrivate da Firenze....

— Direttamente. Ci siamo fermati appena a Messina.

— Per lasciar la bambina a vostro suocero. Avete fatto bene! Com’è questo Milazzo?

— Non me ne parli.

Per fortuna, egli ci stava il meno che poteva, sempre attirato a Firenze, dove aveva tante amicizie. Come egli citava i grandi nomi di Toscana, donna Isabella chinava ripetutamente il capo in atto affermativo: «I Morsini, sicuro.... i Realmonte....»

La contessa volgeva supplici sguardi al marito, quasi per dirgli: «Portami via....» ma Raimondo non cessava di parlare del suo tema favorito. Fersa gli s’avvicinò un momento per stringergli la mano ed esprimergli il proprio rammarico.

— Tuo zio il duca arriva domani?

— Così m’ha detto Giacomo.

— E del testamento?

— Non si sa nulla.

Tra i discorsi di politica, di moda, di viaggi, quella domanda curiosa era sussurrata qua e là, otteneva sempre la stessa risposta. Il presidente della Gran Corte, testimonio della consegna del testamento segreto fatta dalla principessa al notaio l’anno innanzi, non sapeva nulla intorno al contenuto della carta di cui aveva firmato la busta, e i figli della morta erano al buio peggio