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I Vicerè 437

salvo andava dietro alla figlia del barbiere del Belvedere, Gesualdo Marotta: una ragazza che si tirava su per pettinatrice e, quantunque girasse sempre per le vie, non dava retta a nessuno, con una gran paura dei fratelli poco disposti, articolo onore, a scherzare. Ma il principino, quando concepiva un capriccio, non si chetava se non dopo averlo soddisfatto; e, nonostante le preghiere, gli avvertimenti e le minacce dei Marotta, aveva messo in moto tutte le mezzane della città per vincere la resistenza della pettinatrice e della famiglia, promettendo di toglierla dalle strade, da quel mestiere penoso e pericoloso; di metterle su una bella bottega di modista, assicurandole anche la clientela di tutte le sue parenti ed amiche. Tutto era stato inutile. Allora, vedendo che con le buone non otteneva nulla, egli fece un bel giorno rapire la ragazza e la tenne tre giorni con sè al Belvedere. I fratelli, per un certo tempo, stettero zitti, quasi fossero al buio; solo quella brutta notte, mentre il principino usciva dal Caffè di Sicilia, in compagnia di Giovannino Radalì, s’era sentito urtare e squarciare da una lama tagliente la mano distesa istintivamente per difendersi. «Ci rivedremo!...» aveva detto l’aggressore, scappando alle grida di Radalì.

Il principe non disse nulla quando vide il figliuolo conciato a quel modo: mostrò di credere alla storia della vetrata rotta e si mise a vegliarlo insieme con la principessa, la quale stette al capezzale di Consalvo premurosa ed inquieta come una vera madre. Il giovane dissimulava male il suo fastidio per quelle cure antipatiche e accoglieva come altrettanti liberatori gli amici che venivano a fargli visita mattina e sera. Il pericolo corso, il sangue perduto, gli procuravano l’ammirazione di quei suoi compagni di bagordo; però, guarito, egli non mise il naso fuori dell’uscio. I Marotta avevano fatto sapere che erano pronti a ricominciare appena lo avrebbero rivisto, di notte o di giorno, e che la seconda volta non se la sarebbe cavata con una semplice graffiatura, e che, aspettando di farsi giustizia da loro, denunziavano intanto