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436 | I Vicerè |
VIII.
Una notte, mentre Lucrezia, a letto, russava profondamente, e Benedetto studiava a tavolino il bilancio comunale, una scampanellata improvvisa fece sussultare il marito e destò la moglie. Andato ad aprire, Benedetto si vide dinanzi il principino bianco in viso come un foglio di carta.
— Datemi da lavare, — disse allo zio, traendo dalla tasca della giacchetta la destra rossa di sangue.
— Consalvo!... Che è stato?... Che hai?..."
— Nulla, non gridate.... Per aprire una finestra.... ho rotto un vetro, mi sono tagliato.... Datemi da lavare!... È una cosa da nulla....
La ferita era invece profonda; cominciava dal dorso della mano, girava sotto la giuntura del pollice e finiva sul polso. Medicata con taffettà, doveva essersi riaperta, perchè del fazzoletto che fasciava la mano non restava neppure un angolo bianco, e il sangue gocciolava, macchiando l’abito e la camicia.
— Non potevo andare a casa, conciato in questo modo.... — spiegava il giovinotto, mentre teneva immersa la mano in una catinella, l’acqua della quale s’arrossava; ma ad un tratto, perduta la sicurezza che l’aveva fin lì sostenuto, cominciò a tremare, con la fronte madida di sudor freddo, girando intorno lo sguardo stravolto, dove Giulente leggeva adesso lo sbigottimento di un’improvvisa aggressione, la paura della morte intravista nel baleno d’una lama.
— Di’ la verità: com’è stato?...
— Ancora?... La vetrata rotta, v’ho detto.... Chiamate piuttosto Giovannino che m’accompagnò dal farmacista e aspetta giù....
L’amico, più pallido di Consalvo, confermò la narrazione. La verità si seppe il domani. Da un pezzo Con-