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I Vicerè 433

riera: egli approvava questa risoluzione. Lo zio Ferdinando, credutosi affetto da tutte le malattie quando vendeva salute, adesso che deperiva visibilmente credeva invece d’esser sanissimo e non poteva soffrire che la gente gli consigliasse di chiamare un dottore: Consalvo si rallegrava con lui per l’ottima ciera.... Quanto a don Blasco, da un pezzo non si faceva più vedere al palazzo. Dacchè stava per casa sua, amministrando i proprii capitali, la sua smania di criticar tutto e tutti, in famiglia, era finita: quando capitava tra i parenti, discorreva un poco del più e del meno e andava via presto. Per non star solo, in casa, s’era messo dentro la Sigaraia, suo marito e le sue figlie; talchè era servito di tutto punto, non aveva più bisogno di nulla. E, da un certo tempo, era diventato addirittura irreperibile. «Che cosa fa lo zio?... Che cosa fa don Blasco?...» ma nessuno ne sapeva niente. Il principe, il marchese, Lucrezia, un po’ anche Benedetto, cercavano d’ingraziarselo, per via dei quattrini che doveva aver da parte; ma egli li sfuggiva tutti, e se li udiva alludere, sorridendo, alla sua ricchezza, ripigliava a vociare come un tempo: «Che ricchezze e povertà?... Che....» e giù male parole di nuovo conio.

Un bel giorno, però, Benedetto, leggendo nel Foglio d’Annunzii della prefettura l’elenco degli ultimi aggiudicatarii dei beni ecclesiastici, trovò il nome di Matteo Garino.

— Non si chiama così il marito della Sigaraia? — domandò alla moglie.

— Credo... Perché?

— Ha comprato il Cavaliere, una delle migliori terre dei Benedettini.

Senza esitare un istante, Lucrezia esclamò:

— Garino? Questo è lo zio don Blasco che l’ha comprato!...

Infatti di lì a poco la verità si seppe; Garino era il prestanome di don Blasco; questi aveva messo fuori i quattrini ed era già entrato in possesso del latifondo...

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