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I Vicerè | 427 |
zia, che lo vilipendeva dinanzi a tutti. Questa, per far la corte allo zio, rispondeva che un po’ di bene suo marito lo faceva solo quando seguiva i consigli di lui; viceversa, da sola a solo con Benedetto, gli rinfacciava la cieca obbedienza prestata al duca.
— Bestia! Sciocco! Stupido! Non capisci che ti spreme come un limone? Che vuol prendere la castagna dal fuoco senza scottarsi?... Almeno, sapessi farti dare la tua parte!
E gli consigliava di mettersi nei loschi affari del deputato, di vendere la propria autorità, di farsi pagare gli atti che era in dovere di compiere; e ciò senza scrupoli, come una cosa naturalissima, come avevano fatto i Vicerè al tempo della loro potenza. Così, un po’ per la moglie, un po’ per lo zio, Giulente commetteva ingiustizie d’ogni sorta rifiutandone il prezzo, metteva a rischio la sua bella riputazione di liberale disinteressato, di «ferito del Volturno.» Ma l’ambizione lo accecava, egli voleva rappresentare una parte in politica, e il Parlamento era la meta per la quale sopportava adesso il municipio. Il giorno in cui il duca si sarebbe ritirato, egli voleva sostituirlo; tutta la parentela uccellava i quattrini messi assieme dal deputato, egli aspirava all’eredità politica; il seggio alla Camera sarebbe stato la conferma, il riconoscimento del suo patriottismo, della sua capacità. Per tanto, il disprezzo di sua moglie cresceva: ella non capiva che si potesse esercitare un ufficio pubblico pel piacere di esercitarlo, senza specularci sopra, perdendoci il tempo, trascurando per esso ogni altra occupazione, non badando agli affari proprii, non andando mai in campagna, lasciando fare ai castaldi e agli affittaiuoli. Quasi che potesse permettersi questo lusso! Quasi fosse il principino di Mirabella!...
Consalvo, sì, poteva fare e faceva quel che gli piaceva. Non solo egli non badava agli affari di casa — chè suo padre ci pensava per lui — ma non stava