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I Vicerè 423


Baldassarre erasi precipitato ad incontrarlo. Il giovanotto aveva l’abito in assetto e gli stivaloni puliti come sul punto di andar fuori; ma al maestro di casa che gli domandava ansiosamente che cosa fosse successo:

— Sono vivo per miracolo, — rispose.

Entrato nel salone, mentre tutti gli si affollavano intorno, cominciò a narrare la storia d’un accidente complicatissimo, il suo smarrimento nel Biviere, la fame sofferta per dodici ore, il naufragio della barca che lo portava. «Gesù!... Gesù!... Santo Dio d’amore!...» esclamavano tutt’intorno; la principessa, specialmente, ripeteva ogni momento: «Ah, questa caccia!... Figlio mio!... Che paura!...» lo stesso principe mostrava di credere quella storia, e tutti, per prudenza, fingevano di rallegrarsi dello scampato pericolo; solo donna Ferdinanda increspava le labbra sottili ad un ironico sorriso, sapendo bene che il suo protetto non aveva corso pericolo di sorta.... Benedetto, frattanto, riferiva sottovoce alla moglie l’offerta della sindacatura fattagli dallo zio e il proprio rifiuto. Lucrezia si voltò a guardarlo in faccia e gli disse sul muso:

— Sempre bestia sarai?


Le era parso che quel titolo di sindaco avrebbe nobilitato in qualche modo il marito, conferendogli l’autorità, il lustro, l’importanza che non aveva; invece, dopo che il duca ottenne per Giulente la nomina, s’accorse che gli restava più Giulente di prima, una specie d’impiegato, un miserabile passacarte, un servitore del pubblico. E quando le diedero della sindachessa, arrossì come un papavero, quasi l’insultassero, quasi le intonazioni più complimentose fossero studiate e nascondessero un ironico dileggio. Ella non diede più quartiere a Benedetto; dopo averlo spinto ad accettar l’ufficio, glie ne rinfacciò l’inutilità, le noie, i pericoli; se per la moltitudine degli affari egli tornava a casa più tardi del consueto, stanco, affamato, l’accoglieva con tanto di muso, gli faceva trovare la tavola mezza sparecchiata e il de-