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422 I Vicerè

degli amici. Gli avversari, i repubblicani, i malcontenti gridavano contro questo accentramento di tanti uffici in una stessa persona; e giusto il duca s’era fatto forte di tale ragione per rifiutare la sindacatura. Benedetto, dopo il gran dolore delle disgrazie sofferte, ricominciava allora ad occuparsi degli affari pubblici, e insisteva presso lo zio, gli ripeteva l’invito a nome del consiglio comunale, adducendo la mancanza di persone capaci.

— Non mi darai a intendere, — rispose il deputato, — che io solo possa fare il sindaco! Perché non lo fai tu?

— Perchè io non ho i titoli di Vostra Eccellenza!

— Dimmi che accetti, e fra quindici giorni avrai la nomina.

Benedetto continuava a schermirsi, sorridendo, fingendo di non credere alla serietà dell’offerta; in cuor suo, egli non desiderava di meglio; ma una grande difficoltà lo arrestava: l’opposizione di sua moglie. Costei dimostravasi sempre più irascibile quando udiva parlare di cariche pubbliche, di uffici elettivi, di politica liberale; minacciava di far mandare ruzzoloni giù per le scale le persone che venivano a cercar di lui nella sua qualità di consigliere comunale o di presidente del Circolo Nazionale; di lacerare, prima che egli le leggesse, le carte indirizzate a suo marito. Se gli moveva tanta guerra per così poco, che avrebbe fatto sapendolo sindaco? E Benedetto, soggiogato dal timore, si schermiva contro le rinnovate offerte dello zio, il quale, come argomento irresistibile, riserbato per il colpo di grazia, gli diceva: «Il giorno che io mi ritirerò, troverai preparato il terreno....»

Mentre il deputato insisteva, e Lucrezia sparlava di suo marito con Chiara, e donna Ferdinanda sparlava del principe col marchese, e i lavapiatti facevano la corte alla nuova principessa, e don Blasco ciaramellava da un gruppo all’altro, s’udì il fracasso d’una carrozza che arrivava di carriera e tutti esclamarono:

— Consalvo!... Il principino!...