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40 | I Vicerè |
Vescovo col Vicario e parecchi canonici, appena scorto il fratello s’alzò e gli aperse le braccia: Raimondo si lasciò abbracciare un’altra volta, ma quelle dimostrazioni d’affetto lo seccavano visibilmente. Poi il principe lo condusse via, e tutti ripresero i loro posti e i discorsi interrotti.
In un gruppo di pezzi grossi dove c’erano, fra gli altri, il presidente della Gran Corte, il generale e alcuni senatori municipali, don Blasco continuava a fiottare contro i rivoluzionari e i quarantottisti che minacciavano d’alzar la coda. Non era bastata loro la famosa lezione spiegata da Satriano? Volevano il resto? Sarebbero stati immediatamente serviti!
― Ma la colpa più grande credete forse che sia dei sanculotti o di quel ladro di Cavour? È di quei ruffiani che per la loro posizione dovrebbero sostenere il governo e invece si mettono coi morti di fame!
Egli l’aveva principalmente col fratello duca che s’era fitto in capo di fare il liberalone, lui, il secondogenito del principe di Francalanza! Il marchese di Villardita approvava, chinando la testa, giudicando però che i rivoluzionari, con o senza l’aiuto dei signori, sarebbero rimasti cheti almeno per altro mezzo secolo: la città portava ancora i segni della terribile repressione dell’aprile Quarantanove: non erano del tutto scomparse le tracce del fuoco e del saccheggio, e mezza popolazione piangeva i morti, i condannati all’ergastolo, gli esiliati.
Il Priore, tornato a sedere accanto a Monsignore, nel gruppo delle tonache nere, deplorava anch’egli, a bassa voce, l’iniquità dei tempi per via della legge piemontese contro le corporazioni religiose; e don Blasco, nel crocchio opposto:
― Adesso fanno la guerra senza denari! Rubando la Chiesa di Cristo! E quel celebre d'Azeglio? Avete letto il suo sproloquio?...
Dalla parte delle donne la principessa se ne stava in un angolo, un po’ alla larga, per evitar contatti. Donna Ferdinanda, seduta vicino al principe di Roccasciano,